La cronaca nera non è una serie tv
Pubblicato da ISF Magazine in Articoli · Mercoledì 07 Giu 2023
Tags: effetto, Dunning, Kruger, femminicidio, Giulia, Tramontano
Tags: effetto, Dunning, Kruger, femminicidio, Giulia, Tramontano
Autore: dr.ssa Hillary di LERNIA
Istituto di Scienze Forensi Centro di Ricerca
Il femminicidio di Giulia Tramontano, donna uccisa dal suo compagno lo scorso 27 maggio a Senago (MI), ha scosso l’opinione pubblica e riacceso il dibattito sulla violenza di genere. Ma, ancora una volta, si è deciso di sfruttare l’effetto catartico della tragedia per realizzare contenuti mediatici volti a soddisfare e nutrire l’insaziabile fame di gossip. Fiumi di parole intrise di ipocrita empatia dalle maggiori testate nazionali uniti a improbabili diagnosi di sedicenti esperti del settore, hanno trasformato l’ennesimo femmicidio in un reality show. Anzi, in una delle tante serie crime che troviamo disponibili nelle piattaforme di streaming.
Al grido della libertà di espressione, non viene rispettato il principio dell’essenzialità dell’informazione[1], che prevede l’esistenza di un nesso di necessarietà fra i dati pubblicati e la notizia. Data la difficoltà di teorizzare il concetto, spesso si valica il confine in nome di una presunta rilevanza dell’interesse pubblico. In questo modo, le persone vengono indirettamente guidate nella percezione del reato e rese complici della proliferazione del morbo che attanaglia il diritto all’informazione: i processi mediatici.
La giustizia mediatica si sostituisce e anticipa la giustizia togata, dove tutti si sentono legittimati a emettere sentenza. Questo è l’approccio di chi non è consapevole di essere vittima dell’effetto Dunning-Kruger, una distorsione cognitiva che porta gli individui a sopravvalutare le proprie competenze in un dato settore. L’incapacità di riconoscere i propri limiti conduce le persone a non documentarsi, non riflettere, non porsi domande e a rimanere fermi nelle proprie convinzioni.
L’aspetto più critico si ha quando a esporre idee e opinioni aleatorie sono i cosiddetti “professionisti” del settore. Criminologi, giuristi, psicologi che, per cavalcare l’onda mediatica, decidono di effettuare diagnosi o emettere verdetti sulla presunzione di quello che viene raccontato – e dunque volutamente filtrato – dai media. Un comportamento altamente dannoso, oltre che contrario alla deontologia, che incoraggia lo stigma e la disinformazione nei confronti dei disturbi mentali e indebolisce il corretto dibattito sugli strumenti della giustizia.
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[1] Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell’attività giornalistica ai sensi dell'art.25 della legge 31 dicembre 1996, n. 675.