Bullismo e cyberbullismo: un’analisi psico-criminologica. Dal profilo di personalità agli interventi rieducativi

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Bullismo e cyberbullismo: un’analisi psico-criminologica. Dal profilo di personalità agli interventi rieducativi

ISF Istituto di Scienze Forensi
Pubblicato da ISF Magazine in Criminologia · Venerdì 21 Giu 2019
Autore: dr.ssa Monica Chiovini
Sezione Criminologia Investigativa e Forense  dell'Istituto di Scienze Forensi

Il termine bullismo deriva dall’inglese “bullying”, utilizzato per descrivere il fenomeno degli atti aggressivi e delle prepotenze tra pari, ovvero tra soggetti appartenenti alla stessa fascia d’età, all’interno di un gruppo. Per l’appunto, bullismo potrebbe essere equiparato a mobbing in contesto lavorativo. La radice del termine è “mob”, dunque “gruppo”, “folla”, che denota un’azione iniziata e portata avanti da un gruppo.
In tempi più recenti, tale definizione è stata ampliata, includendo quale attore di questo brutale comportamento anche il singolo individuo e non solo la banda dei pari. Un tempo, venivano prese in considerazione esclusivamente azioni fisiche e verbali, mentre oggi si profila anche un’importante modalità di violenza psicologica. Quest’ultima, silente e difficilmente identificabile, rappresenta una subdola aggressione agita dal soggetto sulla psiche e sull’autostima della vittima.
Per meglio comprendere, siamo in presenza di una situazione di bullismo quando si assiste o si subisce un insieme di vessazioni, ovvero di atti persecutori, violenti e aggressivi, da parte di un coetaneo o, per lo più, da un gruppo di coetanei, nei confronti di un loro pari. Le prepotenze possono essere di natura fisica, ad esempio sberle, spintoni, pugni e botte, oppure di tipo verbale, come minacce, offese, svalutazioni e insulti pesanti. Oppure, ancora, possono concretizzarsi in forme di abuso psicologico quali umiliazioni, derisioni, discriminazioni, pettegolezzi ed emarginazione. Nella maggior parte dei casi, si denota una concomitanza di tutte le categorie fin qui descritte. L’offesa verbale trascende nell’aggressione fisica e le azioni sono sempre accompagnate da un forte trauma psicologico in seguito al quale la vittima difficilmente riesce a sopravvivere da sola. Le vessazioni del primo tipo, verbali e fisiche, sono chiamate modalità dirette, che sono le più evidenti; al contrario, l’esclusione dal gruppo e la diffusione di calunnie sui compagni, sono cosiddette modalità indirette, perché sono violenze psicologiche sottili, nascoste e più difficilmente rilevabili. Altro, ma non ultimo, criterio da evidenziare per parlare di bullismo è l’intenzionalità nel danneggiare, nel far del male ovvero nel procurare sofferenza alla vittima, privandola della sua sfera sociale e relazionale. Intenzionalità, oltre che persistenza, frequenza e costanza delle azioni nel tempo, risultano ulteriori aspetti caratteristici.
Le conseguenze sulla persona designata dal bullo sono deleterie ed includono danni alla salute fisica, disturbi psicologici, abbandono delle relazioni, paura e terrore dell’“altro”, che viene visto come potenziale carnefice, dispersione scolastica o abbandono degli studi e, nei casi estremi, purtroppo non rari, suicidio.
In passato, il bullo era tendenzialmente un maschio in età scolare. Ciò non significa che le ragazze sono esenti dall’agire prepotenze e vessazioni contro una loro coetanea benché emerga una significativa differenza nella modalità di azione in base al genere. Nello specifico, i maschi prediligono forme verbali e fisiche di bullismo, mentre le femmine, oltre che in offese verbali, si producono in azioni di umiliazione dell’immagine della vittima mediante pettegolezzo, dicerie e diffusione di immagini false sulla sua identità. Di recente, però, si sta riscontrando un aumento dei casi di bullismo “al femminile” connotate da aggressioni fisiche e verbali sul modello maschile. Nell’era moderna dei media, di internet, dei social network e degli strumenti informatici, ecco che il fenomeno del bullismo viene sempre più affiancato da nuovi canali attraverso cui si possono realizzare azioni vessatorie. Da tale contesto è nato il cosiddetto cyberbullismo.
Il termine “cyberbullismo” (bullismo online), introdotto dal docente canadese Bill Belsey, è un attacco offensivo continuo, reiterato e sistematico operato mediante la rete.
Il fenomeno, tipico del Terzo millennio, è oggi oggetto di studio e di intervento da parte di psicologi, criminologi, sociologi, giuristi, educatori nonché delle Forze dell’Ordine.
Il cyberbullismo prevede azioni indirette di umiliazione nei confronti della vittima attraverso chat, siti web, messaggi sul telefonino, e-mail o per mezzo di videogiochi collegati in simultanea. Se il bullismo si manifesta in un contesto scolastico e di ritrovo del gruppo dei pari, il cyberbullismo viene messo in atto e facilitato dalla maschera, apparentemente protettiva, della rete. Il cyberbullo, non avendo un contatto diretto con il soggetto, acquista maggiore forza e prepotenza e si considera invincibile, illudendosi di non venire mai scoperto dietro ad uno schermo o ad un falso “nickname”. In molti casi, inoltre, subentra una concomitanza di bullismo praticato nel mondo “reale”, ad esempio a scuola, e di cyberbullismo esercitato in rete.
In concreto, le azioni ricorrenti da parte del cyberbullo consistono nel far circolare foto spiacevoli della vittima su internet, inviare e-mail contenenti materiale offensivo, scrivere messaggi minacciosi, anche a sfondo di morte, denigrare la preda sui social network mediante contenuti violenti e volgari. Questi comportamenti denotano una condotta deviante e perseguibile alla cui base troviamo l’inganno e la molestia. Il cyberbullo è privo di senso di colpa; anzi, talvolta emerge in lui una sorta di sadismo nel procurare dolore fisico, emotivo e psicologico ad un coetaneo. Una personalità caratterizzata da un forte disturbo della condotta che può sfociare, successivamente, in un vero e proprio disturbo antisociale e in un’escalation criminale. Scarso sviluppo dell’empatia, menzogna e manipolazione completano il quadro. Il bullo ed anche il cyberbullo sono la rappresentazione di un “duro apparente” che cela gravi lacune psicologiche: narcisismo, arroganza e prepotenza mascherano, infatti, conflitti e problemi vissuti internamente al suo contesto familiare e di vita nel corso dell’infanzia. Spesso l’aggressore è stato o è, lui stesso, vittima di abusi e traumi psicofisici ad opera di adulti che lo hanno spinto verso un processo di identificazione con l’aggressore: la vittima diventa il carnefice al fine di acquisire maggiore potere e interiorizza l’unica forma appresa di affermazione, ovvero la forza fisica e verbale, dietro alla quale si riscontra invece una bassa autostima e una sfiducia nelle proprie possibilità di adattamento e di realizzazione sociale. Un circolo vizioso, da interrompere quanto prima.
Al contrario, la vittima, apparentemente debole perché il più delle volte possiede una personalità poco incline alla ribellione o alla ricerca del rischio o avente un’identità di genere che si sviluppa in direzione omosessuale, viene attaccata facilmente ed isolata fino ad essere privata, mediante minacce che spesso si estendono anche ai membri della sua famiglia, di un aiuto esterno. La vittima, coetanea o poco più giovane d’età rispetto al bullo, può sopravvivere solo se possiede una forte resilienza, cioè resistenza mentale, o se si trova nelle condizioni di ricevere ascolto e sostegno. Sicuramente, un’esperienza di tal genere lascerà un trauma psicologico con sintomi di ansia, panico o depressione. In assenza, infatti, di figure genitoriali che prestino adeguata attenzione allo stato emotivo del proprio figlio o di insegnanti che non trascurano i segnali di allarme, si possono verificare conseguenze irreversibili come la morte della vittima.
Oltre al bullo e alla vittima, in tale fenomeno subentrano i gregari o, per usare un termine “social”, i followers, quindi i seguaci di un leader disadattato. Questi ultimi si suddividono in tre categorie: troviamo coloro che incitano le azioni bullizzanti, prendendone parte attivamente; quelli che invece assistono silenziosi al fatto, senza denunciare, divenendo così complici di reato; e, infine, coloro che traggono gratificazione in maniera indiretta deridendo la vittima mentre subisce.
Data l’emergenza e la gravità di questo fenomeno, da sempre diffuso ma prima meno esposto all’attenzione pubblica ed oggi ancor più pericoloso per la componente online, si evidenzia l’importanza di realizzare interventi di prevenzione e rieducazione mirati e contestualizzati. L’obiettivo dovrebbe essere quello di informare e far conoscere in due direzioni: la prima rivolta agli adolescenti e orientata soprattutto a trasmettere una maggiore consapevolezza delle conseguenze e dei danni alla salute provocati alla vittima; la seconda, invece, indirizzata in particolar modo ai genitori dei ragazzi che, spesso, concentrati su loro stessi, dimenticano i bisogni dei figli e il compito educativo primario di provvedere alla loro crescita, anche con una certa dose di controllo sull’uso che essi fanno degli strumenti informatici. Occorre, poi, dare rilievo alle ripercussioni giuridiche del cyberbullismo, rivolgendosi inoltre al corpo docente nel contesto scolastico e richiedendo loro un’adeguata supervisione delle situazioni problematiche insite nel gruppo dei pari.
Oggi, sono state approvate nuove norme in tema di bullismo le quali invocano punizioni anche severe per gli autori di reato. Un’altra modalità di intervento preventivo dovrebbe muoversi proprio in questo senso: sviluppare una maggiore consapevolezza nei minori e negli adulti riguardo alle conseguenze penali del bullismo e del cyberbullismo. Ricerche in campo psicologico dimostrano l’efficacia della peer-education (educazione tra pari) per trattare comportamenti problematici e difficoltà affettivo-sociali nei giovani. Affiancare una persona alla pari, più adattata e socialmente integrata, con un adeguato equilibrio psichico, può fungere da efficace canale di apprendimento per osservazione ed imitazione, come sosteneva Bandura, di atteggiamenti ed emozioni positivi nei confronti dei coetanei, anche quando ci sono di mezzo razze, caratteristiche e tendenze diverse dalle proprie.
Fondamentale è, poi, il lavoro coordinato di vigilanza e supporto svolto dalle equipe socio-psico-educative con le Forze dell’Ordine al cui centro dell’attenzione deve essere posta la vittima del cyberbullo ma anche quest’ultimo, in quanto soggetto da non trascurare e da rieducare.
Dal punto di vista psicologico, la rieducazione del bullo dà spazio alla mediazione con la persona offesa, fase che richiede particolare cautela e deve essere svolta sotto la guida di un professionista psicologo. L’intervento mira a stimolare nell’aggressore una presa di contatto con il bullizzato, una capacità di chiedere scusa e di cercare un modo pratico per rimediare alle umiliazioni arrecate. La vittima, da parte sua, deve essere aiutata a perdonare, ad accogliere il bullo o il cyberbullo, concedendogli quindi la possibilità di dimostrare una forma migliore di rapportarsi ad essa.
Efficaci percorsi riabilitativi includono anche un lavoro di apprendimento di un uso sensato dei nuovi media e un monitoraggio delle attività poste in essere. Di contro, sportelli di ascolto gratuito, numeri telefonici di emergenza utili e, tra l’altro, un futuro sito web di aiuto, sono riservati alle persone vittime di azioni oppressive e violente che non si sentono di parlare con le figure educative di riferimento ma avvertono, comunque, la necessità di segnalare la propria situazione e ricevere dei consigli.
Regolamenti e obblighi di denuncia vengono infine trasmessi dal Ministero dell’Istruzione alle scuole e ai dirigenti degli istituti, i quali hanno l’obbligo di tenersi aggiornati sull’evoluzione del fenomeno e sui nuovi mezzi di manifestazione, di coinvolgere tutto il corpo docente in un’intensa attività di osservazione, controllo e ascolto dei primi segnali di bullismo-cyberbullismo nonché organizzare conferenze tematiche e incontri in classe tra studenti ed esperti del settore. La prevenzione così delineata non è solo prevenzione secondaria e terziaria, fatta di interventi messi in atto quando il problema è già presente e, magari, insediato nel contesto, ma soprattutto una prevenzione primaria a livello territoriale.

Dr.ssa Monica Chiovini
Riproduzione riservata


Bibliografia
E. Menesini, Bullismo. Che fare? Prevenzione e strategie di intervento nella scuola, Giunti, Firenze, 2000
F. Marini, M. Mondo, Il benessere nei contesti lavorativi e formativi, Carocci, Roma, 2008
G. Zara, Le carriere criminali, Giuffé, Torino 2005
DSM-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Elsevier, 2000

Sitografia
Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca, Bullismo e Cyberbullismo
Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca, Linee di orientamento per azioni di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyber bullismo, Aprile 2015


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