La tratta delle donne nigeriane e i riti Juju
Pubblicato da ISF Magazine in Criminologia · Martedì 26 Nov 2024
Tags: tratta, donne, nigeriane, riti, juju
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Autore: dr.ssa Martina PENAZZO
Istituto di Scienze Forensi Centro di Ricerca
Il traffico di esseri umani è un crimine estremamente insidioso, poiché, per essere qualificato come tale, devono essere presenti tre elementi distinti. Il primo, è l'atto che deve mirare a reclutare, trasportare, accogliere o ospitare una persona. Il secondo, riguarda i mezzi utilizzati per compiere l'atto, come l'uso della forza o altre forme di coercizione. Infine, il terzo elemento è lo scopo, che deve essere quello dello sfruttamento.
Per comprendere l'entità di questo fenomeno, è sufficiente esaminare le stime relative al periodo 2002-2011, pubblicate nel 2012 dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Queste stime indicano che 20,9 milioni di persone sono vittime di lavoro forzato, un dato che include anche le vittime della tratta di esseri umani, tra cui 4,5 milioni costrette allo sfruttamento sessuale. La principale difficoltà nella raccolta di dati sulla tratta di esseri umani risiede nella sua natura intrinsecamente invisibile; la segretezza e gli errori di segnalazione complicano notevolmente la possibilità di effettuare stime o fornire dati precisi. Tuttavia, secondo le informazioni fornite dall'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine nel 2014, sono state registrate 17.752 vittime di tratta in 85 paesi, mentre tra il 2012 e il 2014 sono state identificate 63.251 vittime, di cui il 57% trafficate a livello internazionale.
La presenza di gruppi criminali organizzati in contesti africani è spesso attribuita alla debolezza delle istituzioni statali (Williams 2014; Shaw, Reitano 2019). Williams sottolinea come la Nigeria si inserisca perfettamente in questo contesto, considerando la sua storia coloniale e la successiva dittatura militare, caratterizzata da una storica e ricorrente proliferazione di centri di potere in conflitto, che ha segnato la gestione del Paese e delle sue risorse (Ebbe 2012; Williams 2014; Ellis 2012, 2016). Ellis, esaminando la storia del crimine organizzato in Nigeria, evidenzia che la tratta di esseri umani è un'attività che esiste da secoli e si è ampliata ben prima della formazione dello Stato nigeriano nel 1914. Sebbene la schiavitù fosse stata abolita dall'amministrazione coloniale britannica, negli anni '30 del Novecento le reti e le pratiche legate al traffico di esseri umani rimasero sostanzialmente invariate, mostrando analogie con la tratta di donne nigeriane attuale.
Aspetti psicopatologici della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale
La tratta nigeriana costituisce una forma di dominio intrinseco, in cui il corpo della donna migrante si trova al centro di un ciclo di coercizione, violenza, traumi e sofferenze (cfr. Taliani 2011, p. 60). Come sottolineato da Massari, il corpo di queste donne è soggetto a varie strategie di controllo e sottomissione (2017, p. 59), a cominciare dalla pratica del rito "Juju", alla quale le migranti si sottopongono volontariamente, senza pressioni esterne.
Il brutale abuso legato a gravi e ricorrenti violenze psicologiche, spesso porta le donne nigeriane vittime di tratta a vivere in uno stato di profonda incertezza e paura, accompagnato da un persistente senso di vergogna che permea la loro vita quotidiana. È comune osservare una progressiva e significativa perdita di fiducia in sé stesse, che rende difficile per queste donne trovare un senso nella propria esistenza e immaginare un futuro migliore. La continua ripetizione del trauma, insieme alla disumanizzazione del corpo, rappresentano fattori chiave nell'impatto devastante che queste esperienze hanno su di loro.
In situazioni di abuso prolungato, che hanno effetti duraturi sulla vittima, si verifica una difficoltà nell'elaborare il trauma. Spesso, la persona coinvolta cerca rifugio nella negazione o nella paralisi emotiva per affrontare l'impatto devastante dell'esperienza. La mente delle donne coinvolte rimane costantemente vigile ai segnali, sia verbali che non verbali, che potrebbero indicare un'aggressione imminente. Di frequente, chi si trova in questa condizione di vittima si sente intrappolata in uno stato di "iperattività congelata", caratterizzato da una continua tensione che conduce a una stagnazione emotiva.
La sfera spirituale: il rito Juju
La spiritualità riveste un'importanza cruciale nella cultura africana: non esistono religioni rivelate nel senso tradizionale, ma piuttosto una forma di spiritualità che permea tradizioni, usanze, rituali e pratiche. Il profondo rispetto per le tradizioni e il loro impatto culturale, si manifesta, in particolare, attraverso il rito Juju, un'antica pratica religiosa diffusa nelle regioni sudoccidentali della Nigeria, in cui gli spiriti sono considerati intermediari tra gli esseri umani e le divinità principali. La forte fede negli spiriti e il desiderio di migliorare la propria condizione sociale alimentano la diffusione della tratta e della schiavitù. Coloro che sono coinvolti nel traffico e nella gestione della prostituzione sfruttano la vulnerabilità delle donne, esercitando un controllo psicologico e religioso e utilizzando il rito Juju per costringerle alla prostituzione.
La presenza di "tribunali-santuari", giuramenti di fedeltà e garanti spirituali legati alle migrazioni nigeriane connesse alla tratta, sembra riflettere una realtà più ampia dell'amministrazione teocratica presente nel sud della Nigeria. In questa regione, la gestione della giustizia, delle controversie personali e la regolazione di patti e contratti sono sempre più frequentemente affidate alle istituzioni religiose (Oviasuyi e Ajagun, Isiraoje 2011; Ellis 2016; Taliani 2019). Secondo alcuni studiosi, gli shrines, ovvero i santuari oracolari, avrebbero guadagnato maggiore influenza in risposta a una crescente sfiducia della società nigeriana nei confronti dei tribunali ufficiali, considerati corrotti e inaffidabili (Ellis 2008, 2016; Idumwonyi e Ikhidero 2013; Baarda 2016; Brivio 2021). Il crescente malcontento nei confronti dell'operato dello Stato, intensificatosi negli ultimi trent'anni, ha portato a un ripristino di pratiche tradizionali anche nei servizi di assistenza e protezione individuale (Gore 1998 in Brivio 2021, p. 168). I fenomeni migratori, insieme ai crimini ad essi associati, storicamente limitati, non sono immuni da questo rinnovato fervore religioso, che conserva evidenti tracce del colonialismo e, al contempo, reinterpreta le pratiche animiste precoloniali in una nuova forma.
La tratta delle donne nigeriane, nella sua attuale manifestazione, è intrisa di riti e dottrine religiosi che, come è noto, servono a legittimare in modo incisivo comportamenti criminali e sistemi di coercizione. Sebbene la distinzione tra bene e male possa sembrare chiara e prevedibile, in realtà risulta piuttosto sfuggente. Le divinità e gli spiriti, rappresentati dai sacerdoti, hanno il potere di offrire protezione, prosperità, guarigione e giustizia; tuttavia, se le regole non vengono rispettate, possono diventare vendicativi e infliggere gli stessi mali che sono in grado di curare (Brivio 2012, 2021). I santuari gestiti dai medici tradizionali, noti come shrines, combinano funzioni spirituali, curative e giudiziarie per mantenere l'ordine e l'armonia sociale (cfr. Diagboya 2019).
Il rito Juju funge da accesso al mercato criminale della tratta. Tutti i soggetti coinvolti sembrano, in varia misura, intrappolati nella "rete Juju", a cominciare dalle madame che ne sfruttano l'uso per sottomettere e sfruttare giovani connazionali, pur essendo consapevoli dei rischi e delle possibili conseguenze (Brivio 2021, Baarda 2016, Ikeora 2016). L'intero contesto legato alla tratta, quindi non solo le donne direttamente coinvolte nello sfruttamento, sembra seguire una volontà divina.
Durante il rituale, l’officiante è colui che viene definito “chief priest”, “native doctor” o “juju man”. Il pubblico può includere i familiari della giurante e, talvolta, altre donne che condivideranno con lei l’esperienza migratoria, diventando testimoni reciproci del loro impegno. Gli spettatori della comunità, parte del corpo sociale, assumono un ruolo apparentemente passivo, ma la loro presenza trasforma il giuramento in un atto pubblico (Biliacois 1992). Secondo Apard, il giuramento di fedeltà è fondamentale per definire il tipo di relazione tra le madame e le donne da cui “traggono beneficio”, costituendo un elemento essenziale della strategia di controllo attraverso cui gli attori del sistema criminale cercano di instaurare un contesto di sottomissione (Apard et al. 2019, p. 65).
I rituali associati alla tratta nigeriana mostrano una continuità con le tradizioni rituali locali, sia per quanto riguarda gli obiettivi (come i riti di maledizione), sia per alcuni degli oggetti e materiali impiegati (cfr. Calderoli 2007; Ellis 2016). La persistenza di questa relazione di dominio è sostenuta da un insieme di pratiche e strumenti che accompagnano l'atto del giuramento effettuato dal native doctor, a partire dalla creazione di un oggetto-feticcio (ébo) (cfr. Taliani 2019; Solinas 2007; Calderoli 2007). La sua realizzazione rappresenta un processo metonimico che avviene attraverso il prelievo di sostanze organiche dal corpo e l'uso del nome della persona su cui si intende intervenire (Calderoli 2007, Taliani 2019). Una volta creato, l’ébo viene custodito da un estraneo, mentre il “corpo-feticcio” della donna migrante, da cui l’ébo è generato (attraverso frammenti corporei, scarti e sostanze), stabilisce una relazione di dipendenza con qualcosa di estremamente potente che, sebbene invisibile e introvabile, è comunque reale.
Il rito si conclude con il giuramento della potenziale migrante, che promette fedeltà e si impegna a saldare il debito contratto con l'organizzazione criminale, la quale anticipa le spese per il viaggio, il vitto e l'alloggio in Europa. Le conseguenze di questo giuramento riguardano principalmente la sfera spirituale, poiché una donna che non rispetta i termini del giuramento potrebbe essere uccisa o condannata a essere posseduta dalle divinità a cui si è rivolta. Come osserva Taliani, il rito che precede la partenza genera timore per possibili ritorsioni violente nel caso in cui non vengano rispettati i termini del patto rituale.
Infine, il giuramento può avere valore legale, poiché può servire come fondamento per azioni di recupero crediti nelle funzioni giudiziarie dei santuari o davanti ai tribunali statali. Questo contribuisce a creare un legame che si dimostra estremamente forte ed efficace, sia per le donne sfruttate e le loro famiglie, sia per le madame e gli altri membri dell'organizzazione criminale.
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Bibliografia
- Brivio, A. (2012) Il vodu in Africa. Metamorfosi di un culto, Roma, Viella.
- Brivio, A. (2021) Assoggettamento da Juju? Decostruire le categorie della dipendenza tra le giovani migranti della Nigeria, in “ANUAC.”
- Calderoli, L. (2007) Riti magici e prostituzione nigeriana: l’esperienza di una consulenza antropologica per un tribunale italiano, in P.G. Solinas (a cura di), La vita in prestito. Debito, lavoro, dipendenza, Lecce, Argo.
- Williams, P. (2014) Nigerian Criminal Organization, in L. Paoli, The Oxford Handbook of Organized Crime, New York, Oxford University Press.
- Taliani, S., (2011) Corpi, debiti, feticci, in R. Beneduce, La spiritualità in un’epoca di incertezza. L’intreccio tra religioso e rituali terapeutici, Torino, Ed. Gruppo Abele.
- Taliani, S. (2012) Coercion, Fetishes and Suffering in the Daily Lives of Young Nigerian Women in Italy, in “Africa”.