L’avv. Salvagni intervistato dopo la visione dei reperti del caso Bossetti
Pubblicato da ISF Magazine in Notizie · Mercoledì 22 Mag 2024
Tags: bossetti, salvagni, visione, reperti, intervista
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La
vicenda inizia il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra, quando la tredicenne
Yara Gambirasio scompare nel nulla durante il tragitto di ritorno dalla
palestra in cui praticava ginnastica ritmica. Il suo corpo viene rinvenuto
molti mesi più tardi, più precisamente il 26 febbraio 2011, in un campo di
Chignolo d’Isola, poco distante dal suo paese, e presenta diversi colpi da
oggetto contundete, tra cui un trauma cranico, una profonda ferita al collo e
almeno sei ferite da arma da taglio.
Il
1° luglio 2016 la Corte d’Assise di Bergamo condanna Massimo Giuseppe Bossetti
all’ergastolo per l’omicidio della ragazza. L’uomo, dal giorno del suo arresto,
si è sempre professato innocente.
Nel
giugno 2021, dal carcere in cui sta scontando la pena, Bossetti ha fatto sapere
di essere “un uomo distrutto, ma innocente”. L’avvocato Salvagni, suo
legale, sempre in tale occasione aveva aggiunto: “Noi non ci arrendiamo e
per questo abbiamo già presentato un ulteriore ricorso in Cassazione, visto che,
nelle tre precedenti occasioni, la Suprema Corte ci ha sempre dato ragione. Ora,
quindi, andremo in Cassazione per la quarta volta perché è un nostro diritto e
un diritto di Massimo Bossetti vedere quei reperti rimasti ed esaminarli”.
Ed
è proprio l’udienza tenutasi il 13 maggio 2024 dinnanzi alla Corte d’Assise di
Bergamo che, per la prima volta, ha permesso ai legali di Bossetti, Salvagni e
Camporini, di poter prendere visione dei reperti.
Qui
di seguito, l’intervista rilasciata dall’avv. Claudio Salvagni alla dr.ssa
Martina Penazzo del Centro di Ricerca dell’Istituto di Scienze Forensi.
Avvocato, ci racconta
dell’udienza del 13 maggio scorso?
“Il 13
maggio c’è stata un’udienza per la visione dei reperti, cioè una ricognizione
che non prevedeva un’attività invasiva come, ad esempio, un’analisi. Nonostante
ciò, noi, tecnicamente, nel novembre 2019 siamo stati autorizzati proprio
all’analisi, ma a, seguito di un ‘braccio di ferro’ con il Tribunale di Bergamo,
la Cassazione ha deciso che il primo step fosse quello di visionare i reperti.
Solo successivamente si deciderà circa l’analisi.
Si è tenuta
questa udienza in Camera di Consiglio, senza pubblico, con Massimo Bossetti
collegato in videoconferenza e in presenza dei nostri consulenti della difesa. Ci
sono stati presentati tre scatoloni sigillati con la carta da pacchi, spago e
sigillo di piombo. Dopo l’apertura del primo scatolone abbiamo potuto
constatare la presenza dei reperti più importanti, ad esempio gli slip, i
leggings, le calze, le scarpe, la maglietta e la felpa di Yara. Questi erano
contenuti a loro volta in alcune buste all’interno dello scatolone; le buste,
però, non erano sigillate, mentre il sigillo sugli scatoloni è stato apposto il
2 dicembre 2019, quindi nel momento in cui i reperti sono stati spostati
definitivamente all’Ufficio Corpi di Reato.
Dalla visione
dei reperti, per quanto sommaria, quindi senza poter usufruire di lampade o macchine
fotografiche ad alta definizione, abbiamo potuto rilevare che gli stessi sono
stati conservati in modo molto buono. Dunque, tecnicamente sarebbe possibile effettuare
delle nuove analisi per cercare eventuali ed ulteriori tracce di DNA. Inoltre,
abbiamo potuto constatare, seppure senza particolari strumenti, che sono
visibili anche ad occhio nudo delle tracce ben delineate.
Ciò che mi ha
particolarmente impressionato riguarda i calzini molto sporchi e molto
compromessi, sui quali sono ben visibili i due prelievi effettuati in
precedenza sulle piante degli stessi. Infatti, sulla pianta di un calzino in
particolare, fu rinvenuto del sangue riconducibile a Yara Gambirasio e, per
tale ragione, furono effettuati prelievi sulle piante di entrambi i calzini. Quindi,
i calzini si presentavano molto sporchi e molto compromessi, mentre le scarpe
mostravano il loro rivestimento interno assolutamente bianco e pulito. Le foto
che avevamo visionato all’epoca non rendevano così bene questo particolare, ma
visto tutto di persona sono rimasto sorpreso. Se da una parte il calzino si
presentava molto sporco, mi sarei aspettato altrettanta traccia ematica sul
rivestimento interno delle scarpe, che, invece, erano pulite. Questo fatto va
nella direzione che noi abbiamo sempre sostenuto, ossia che la povera Yara sia
stata rivestita e le scarpe furono indossate proprio poco prima che fosse
ritrovata.
Nel secondo
scatolone erano presenti tutti i prelievi effettuati sul corpo,
quindi le formazioni pilifere, le tracce di terra, le tracce dei tessuti
estrapolati dal furgone di Massimo Bossetti ecc., dunque questo non è stato
oggetto di particolare esame.
Nel terzo
scatolone era presente, invece, un’altra scatola di polistirolo con
all’interno le famose 54 provette di DNA riconducibili ad Ignoto 1. La
sorpresa è stata quella di accertare che, insieme a queste 54 provette, ve ne
erano altre 23 che, sostanzialmente, erano delle diluizioni delle prime, cioè
degli estratti diluiti delle prime 54 provette. Quindi, in tutto abbiamo
constatato la presenza delle 54 provette originarie, più ulteriori 23 provette.
La constatazione invece più negativa è che queste sono state conservate dal 2
dicembre 2019 a temperatura ambiente e, di conseguenza, ora non sono più utilizzabili
per nuove analisi”.
Alla luce di
quanto appena emerso, quali azioni verranno da voi intraprese e quali sono i
risultati attesi?
“Anzitutto
vorrei fare una precisazione: vanno distinti quelli che sono i reperti da
quelli che sono i campioni. I reperti sono tutti gli oggetti ritrovati
sulla scena del crimine e indossati dalla vittima; i campioni riguardano
il DNA estratto da questi stessi reperti. Quindi, i reperti consentono
delle nuove analisi, perché il DNA conservato all’interno del tessuto
rimane analizzabile anche a distanza di anni purché non sia stato oggetto di
contaminazione - è sufficiente che sia stato conservato all’interno di una
busta - mentre il campione di DNA, se non è conservato adeguatamente, si
deteriora.
Noi vorremmo
effettuare delle nuove analisi sia sui campioni, per avere la
certezza matematica che sono purtroppo deteriorati, sia sui reperti per
andare a individuare delle ulteriori tracce che, magari, possono
restituirci dei risultati differenti rispetto a quelli ottenuti nella fase di
indagine. Stiamo valutando, dunque, assieme ai nostri consulenti, il da farsi”.
Intervista realizzata dalla dr.ssa Martina Penazzo
ISF Istituto di Scienze Forensi Centro di Ricerca
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