Crime related amnesia

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Crime related amnesia

ISF Istituto di Scienze Forensi
Pubblicato da ISF Magazine in Psicologia e Neuroscienze · Mercoledì 22 Nov 2023
Tags: crimerelatedamnesiaamnesiacrimine
Autore: dr.ssa Martina PENAZZO
Istituto di Scienze Forensi Centro di Ricerca

Amnesia e crimine violento: vi è correlazione tra i due fattori?
Da ciò che sappiamo, le ricerche sul rapporto tra amnesia e crimine violento si sono spesso dedicate allo studio dei fenomeni dissociativi nelle vittime e/o nei testimoni di un crimine, ma raramente si è andata a studiare l’insorgenza di tale fenomeno negli autori di reato. Tuttavia, diversi studi riportati in letteratura fanno emergere la natura traumatica di un crimine, al fine di spiegare la perdita di memoria in presenza di un reato violento, suggerendo che un offender in stato di intesa attivazione emotiva, contestuale e conseguente al delitto commesso, potrebbe presentare una totale o parziale perdita di memoria tale da inficiare il ricordo del crimine (Hopwood & Snell, 1933).
In relazione a quanto appena rappresentato, emergono i concetti di amnesia dissociativa e red-out.

Amnesia dissociativa e red-out
L’amnesia dissociativa, definita anche “amnesia psicogena” o “amnesia funzionale”, viene descritta come l’incapacità di rievocare importanti informazioni autobiografiche del soggetto, che siano esse di natura traumatica e/o stressogena. L’amnesia dissociativa si distingue nettamente da quella conseguente a un danno neurobiologico in quanto sarebbe potenzialmente reversibile. Nel panorama dei crimini violenti, questo tipo di amnesia, solitamente, ha un esordio improvviso ed è caratterizzata da un ricordo vago e confuso degli eventi direttamente collegati al reato (Bradford & Smith, 1979). L’amnesia dissociativa emerge in contesti caratterizzati da emozioni estreme e violente, in cui la vittima ha un rapporto di conoscenza intima con l’aggressore e in cui viene meno una vera e propria pianificazione del crimine (Kopelman, 1995; Loewenstein, 1991). In tali casi, l’aggressore, a seguito di una provocazione psicologicamente intesa, sia essa reale o immaginata, entrerebbe in uno stato dissociativo in cui la coscienza è solo parzialmente conservata. In tal caso, il soggetto sarebbe vittima di comportamenti automatici, come se, traumatizzato dal proprio stato emotivo, commettesse il crimine in uno stato di incoscienza (Merckelbach & Christianson, 2007).
L’amnesia, dunque, rappresenterebbe il risultato dell’interferenza che lo stato dissociativo esercita sui processi di codifica e immagazzinamento delle informazioni traumatiche. Dunque, è come se l’esperienza del crimine venisse immagazzinata mentre il soggetto sta vivendo un’emozione assai intensa. Ciò comporta che quando quest’ultimo riprende consapevolezza, avrà difficoltà a far riemergere il ricordo del crimine appena commesso a causa dell’incoerenza emotiva tra il momento dell’immagazzinamento nella memoria e quello di recupero dell’informazione (Spitzer, Barnow, Freyberger, et al, 2006; Holmes, Brown, Mansell et al, 2005; Allen, Console & Lewis, 1999).
Passando invece al concetto di red-out, lo stesso viene spesso utilizzato per descrivere un’amnesia come conseguenza di significativi stati emotivi (Swihart, Yuille & Porter, 1999). Con questo termine si fa riferimento a quella condizione di rabbia estrema, spesso riscontrabile nelle violenze domestiche o nei crimini passionali (Dutton, Fehr & McEwen’s, 1982).
Il fenomeno del red-out è caratterizzato da:
  1. un corretto funzionamento della memoria nel rievocare gli eventi immediatamente precedenti e successivi al fatto;
  2. un elevato livello di rabbia associato all’episodio delittuoso;
  3. una lacuna mnestica riferita al momento specifico del fatto;
  4. l’assenza di cause organiche, come l’intossicazione da droghe o alcol, che potrebbero scatenare l’amnesia.

Il delitto di Cogne: simulazione o realtà?
Il delitto di Cogne, avvenuto il 30 gennaio 2002, è divenuto sin da subito un caso mediatico molto discusso. Ripercorrendo brevemente la vicenda, in una cittadina della Valle d’Aosta, Cogne, il piccolo Samuele Lorenzi, di appena tre anni, viene ucciso in modo efferato nella sua casa. A trovare il cadavere del bambino, colpito alla testa con estrema violenza, è la madre, Annamaria Franzoni. Quest’ultima verrà accusata e, in seguito, condannata in via definitiva dalla Corte di Cassazione, a sedici anni di carcere. La donna si è sempre professata innocente.
Il caso è stato caratterizzato da numerose perizie psichiatriche effettuate sulla Franzoni. Per una di esse, il quesito del giudice fu il seguente: “accertare se la donna avesse in memoria l’omicidio del figlio Samuele come fatto riconducibile ad una sua azione”. Per rispondere a tale quesito, i periti fecero ricorso all’Autobiographical Implicit Association Test (a-IAT), ovvero uno strumento che permette di verificare la veridicità di un evento autobiografico, indagando solo ciò che il cervello ricorda come vero e non la verità assoluta (Sartori, 2015). La relazione peritale descrisse quanto segue: “ha un ricordo autobiografico chiaro dei fatti relativi all’omicidio ed esso corrisponde alla verbalizzazione ripetutamente fornita nel corso del processo. Dunque, nel momento in cui è stato somministrato il test, la ricostruzione dei fatti dell’omicidio fissata nella memoria di Annamaria Franzoni, in base alle risultanze di tali test, è effettivamente quella che ha raccontato nel corso del processo” (Trib. Torino, ud. 19 aprile 2011, Franzoni e altro, Est. Arata)[1].
Secondo la perizia, quindi, il racconto dalla Franzoni in relazione ai fatti risulterebbe una genuina esposizione di quanto la stessa ricorda essere accaduto quella mattina. Tuttavia, i dati del test non significano che la Franzoni sia innocente, ma che, probabilmente, la stessa ha semplicemente cancellato quel ricordo dalla sua memoria (Sartori, 2015).

Amnesia vera e simulata
Ciò che risulta molto complesso è distinguere la tipologia di amnesia trattata fino ad ora da un’amnesia simulata. Talvolta, infatti, si riscontra questa tipologia di amnesia in relazione ad atteggiamenti messi in atto da un soggetto al fine di trarne vantaggio in sede processuale.
Nonostante il progresso nella messa a punto di nuovi strumenti psicologici di indagine del ricordo, risulta tutt’oggi difficile dimostrare la presenza di una reale amnesia dissociativa, anche se sappiamo che esistono varie tipologie di amnesia dissociativa che possono insorgere, in determinati casi, anche nell’offender. In sostanza, i test adottati in sede peritale assumono il semplice ruolo di “indicatori” di amnesia, lasciando il campo ad una certa discrezionalità nella valutazione del caso al perito e, di conseguenza, al giudice.
 
Note
[1] https://www.stateofmind.it/2018/02/autobiographical-implicit-association-test-memoria/



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