Gogne mediatiche, quando la giustizia si fa in rete

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Gogne mediatiche, quando la giustizia si fa in rete

ISF Istituto di Scienze Forensi
Pubblicato da ISF Magazine in Articoli · Mercoledì 17 Gen 2024
Tags: casogiovannapedrettigognamediaticashitstorm
Autore: dr.ssa Hillary di LERNIA
Istituto di Scienze Forensi Centro di Ricerca

La gogna del XXI secolo assume sempre più i connotati di un'arena dove i leoni da tastiera si sfidano alla maggiore gettata di fango verso coloro che ritengono meritevoli di disprezzo e umiliazione. A questo proposito è stato coniato anche il neologismo shitstorm, volto a designare quelle tempeste di insulti e/o commenti denigratori che si realizzano in rete, generalmente sui social media o su altre piattaforme che consentono l'interazione. Si tratta di una pratica contraddistinta da un'estrema ferocità verbale e viene alimentata dal l'istantaneità e dall’immediatezza della comunicazione digitale, che di conseguenza ne agevola la viralità. Una spirale dove la disinibizione e il presunto anonimato generano uno scrosciare di parole cariche di aggressività e violenza il cui unico obiettivo è quello di devastare, a livello di immagine e di reputazione, il soggetto colpito.

La gogna mediatica non risparmia nessuno: il caso di Giovanna Pedretti
Imprenditori, funzionari pubblici, persone comuni. Tutti possono finire nel mirino del giustizialismo mediatico. Ne è un esempio il caso di Giovanna Pedretti, cinquantanovenne titolare di una pizzeria a Sant'Angelo Lodigiano. Nei giorni scorsi, la donna era stata al centro del dibattito social per aver denunciato una recensione negativa per il suo locale, lasciata da un cliente che si sarebbe lamentato di aver mangiato in un tavolo accanto a un altro con persone omosessuali e disabili. Su Instagram la ristoratrice aveva mostrato lo screenshot della sua risposta, dove invitava il cliente a non tornare più nel suo ristorante visti i suoi pregiudizi. Il post aveva ricevuto perfino l’elogio della Ministra per le disabilità Alessandra Locatelli, ma nei giorni successivi l’autenticità di tale recensione è stata messa in dubbio, tanto da far pensare a una possibile “operazione di marketing”. Critiche e insulti non si sono fatti attendere e la donna, da paladina dei diritti, è passata a essere bollata come bieca menzognera.
Nel pomeriggio del 14 gennaio, il corpo senza vita di Giovanna Pedretti è stato rinvenuto nel fiume Lambro. La Procura di Lodi ha disposto l'autopsia, pur ritenendo prevalente l'ipotesi del gesto volontario. Gli inquirenti disporranno anche approfondimenti tecnici sul telefono e sul computer della vittima sia per ricostruire gli aspetti della storia personale sia per far luce sulla questione della recensione. Ad ogni modo, la vicenda costringe a una riflessione su alcune dinamiche altamente pericolose della comunicazione online.

Il fenomeno dell’odio online
"Il caso di Giovanna è estremamente grave e porta di nuovo alla ribalta il tema della responsabilità sia degli influencer circa i contenuti pubblicati sui social, sia degli utenti che alimentano odio e violenza sul web - spiega il Codacons che da anni chiede una regolamentazione ferrea sul settore.
L’hate speech online può facilmente sfociare in diffamazione, calunnia, stalking, discriminazione raziale, etnica e/o religiosa, istigazione a delinquere, etc., fattispecie già previste ad oggi nella normativa italiana. Purtroppo, però, la maggioranza di questi procedimenti penali viene archiviata o finisce con l’assoluzione, spesso a causa di specifici “buchi normativi” o per l'estrema difficoltà – talvolta impossibilità - di identificare gli autori.
A volte è proprio questa deresponsabilizzazione a far sentire le persone completamente libere di esprimersi, come se nella realtà digitale non ci fossero limiti o regole. Scaricare sul prossimo il proprio malessere o le proprie tendenze aggressive si dimostra più semplice quando si adotta il filtro del virtuale. Dietro a uno schermo, spesso si verifica una mancanza di rispecchiamento empatico con gli altri e ciò può far sentire emotivamente distanti e meno colpevoli rispetto alle proprie azioni.

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